genova 2011

Ci sono fratture del tempo che non possono essere ricomposte. Non c’è gesso o ferro che tenga, per ricombinare ciò che è stato scardinato. E in quei giorni di luglio molti mondi sono stati scardinati. C’è un prima Genova e un dopo Genova, nel tempo e nella storia di molti. Eppure si direbbe che in quei giorni, a Genova, volessimo gettare all’aria il mondo. Ma quel mondo era già rovesciato, ed era già in aria. In aria, allora, gettavamo le nostre parole che volevano farlo tornare coi piedi per terra, quel mondo. Le lanciavamo come boomerang, e come bombe che facessero esplodere i castelli in aria che immobilizzano i popoli. Castelli circondati da zone rosse di silenzio e da fossati pieni di sabbie mobili, i castelli della finanza e dei rapaci divenuti déi, costruiti su segrete che scendono in profondità abissali. Volevamo farli esplodere quei castelli in aria, quell’immagine che rovescia il mondo come un’illusione ottica e ce lo fa credere vero, giorno dopo giorno. Volevamo farli esplodere quei castelli in aria, che recintano la vita e ne fanno moneta, e l’aria stessa è attinenza del castello, sua emanazione che inaliamo come i gas in quei giorni a Genova. Volevamo farli esplodere quei castelli in aria, che riempiono il mondo di lupi e di paura e fanno credere che solo in essi è la salvezza. Volevamo farli esplodere quei castelli in aria, così imponenti da soffocare la vista e irretire il desiderio, un desiderio che non libera ma asservisce.
Vogliamo farli esplodere, anche se non siamo certi del frutto delle nostre azioni. Ma siamo certi che cosa sarà del mondo senza le nostre azioni.

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