Vivi pure quanto vuoi, non sarà meno eterna la morte che ti aspetta. Puoi essere morto oggi, oppure già da mesi e anni: la durata del non essere è la stessa. LUCREZIO
Nacque forse a Napoli. Impazzi dopo aver bevuto un filtro d’amore procuratogli da una donna malvagia. Scrisse il De rerum natura nei rari momenti di lucidità (per intervalla insaniae). All’età di quarantaquattro anni si uccise senza aver dato l’ultima mano al poema, che fu pubblicato qualche anno dopo da Cicerone. Questo è tutto quello che sappiamo su Lucrezio.
San Girolamo lo considerava uno psicotico in preda alle forze del male. Alcuni però dicono che la storia della pazzia sia stata inventata proprio dai cristiani per screditare il poeta ateo, che faceva morire l’anima col corpo. Altri hanno cercato nei suoi versi le prove della sua instabilità mentale, descrivendo Lucrezio come un personaggio solitario, di carattere malinconico, meditativo e piuttosto incline alla disperazione, forse epilettico. Altri ancora, stupiti e insospettiti dallo strano silenzio dei contemporanei su questo poeta, che nasce già perfetto e poi scompare, di cui tutti conoscono i versi ma non pronunciano mai il nome, hanno immaginato uno strano intrigo per cui Lucrezio sarebbe il nome dietro il quale un noto personaggio volle nascondere la propria fede impronunciabile: forse Tito Pomponio Attico, l’amico di penna di Cicerone, o Cicerone stesso.
In casi come questo ognuno si coltivi il dubbio come vuole, ammirando il cerchio perfetto di una vita in cui si nasce, si impazzisce, si scrive il De rerum natura e ci si uccide.
Dino Baldi, Morti favolose degli antichi, Quodlibet Compagnia Extra, 2022
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